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Cantalicius oltre i secoli

Mostra su Giovan Battista Cantalicio, viaggio nell’umanesimo.

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Rinomato maestro di humanae litterae, commentatore di autori classici latini, retore e storico, egli stesso poeta, fu copioso scrittore cortigiano e ricoprì l’ufficio di vescovo nella diocesi di Penne e Atri (29 novembre1503 – 3 luglio 1514 rinuncia). Gia.Battista, Giambattista o semplicemente Battista, è anche comunemente accompagnato dal cognome Valentini, ma egli sempre si cita come Cantalycius, “proveniente da Cantalice”. ln realtà il nostro umanista, che poi sarà Mons. Gio. Battista Cantalycius, Episcopus Adriensis et Pinnensis, non si servì mai del presunto cognome Valentini, invenzione propagandistica del suo biografo seicentesco Uffreduccio Anchajani. Aveva studiato a Roma e quando se ne dovette allontanare, rimase in contatto con il suo maestro Gaspare Veronese e con i poeti dell’Accademia Romana. Insegnò in numerose città dell’Italia centrale, ma ebbe maggiore fortuna al seguito dei cardinali Borgia, Giovanni senior e Pier Luigi. Introdotto alla corte di Napoli, si avvicinò agli Aragonesi di Spagna e al loro viceré Consalvo di Cordova, il Gran Capitano. Alla notorietà pervenutagli dalle opere di scuola e dagli studi letterari, deve aggiungersi quella legata alle composizioni encomiastiche, ma di carattere storico narrativo, dedicate -fra gli altri- ai Borgia e al Consalvo. Per tutte, De bis recepta Parthenope. Gonsalvia (1506) e Spectacula Lucretia na (dopo 1502). li presunto ritratto da giovane, che qui presentiamo, lo si ricava dal dipinto eseguito da Domenico Ghirlandaio nella Cappella di Santa Fina, nella Collegiata di San Gimignano. L’artista fiorentino, famoso per l’abitudine di ritrarsi nei propri affreschi e di inserirvi per-sonaggi del suo tempo, compresi numerosi umanisti e gli aiuti di bottega, eseguì il ciclo pittorico (1475) proprio in concomitanza dell’insegnamento di Cantalicio in quella città. li nostro doctissimus magister era notoriamente reputato un’autorità e con i suoi alunni chierichetti partecipa alla cerimonia, resa dal pittore come un evento contemporaneo. Alla sua sinistra i maggiorenti laici della Città. Di fronte, i clerici intorno al Vescovo. A Cantalicio, d’altra parte, si attribuisce l’epitaffio riprodotto nel dipinto del sacello di Fina, per la quale aveva scritto un inno e due epigrammi commemorativi. La figura esile ed emaciata di un uomo assai giovane, come allora doveva essere, corrisponde assai curio-sarnente al contenuto di un epigramma autobiografico, dove Cantalicio si descrive”non pingue’: siccus, vacuus, “di poco peso”. Per altro con fine ironia di sottili allusioni psicolo-giche e sociali. Insomma un ritratto completo: chi ha un nome esiste, chi ha un volto si specchia e parlando si rivela.
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